Il D. Lgs. 152/2006 e s.m.i. prevede la valutazione dello stato di qualità di una matrice ambientale; le indagini analitiche che vengono effettuate per i controlli e per i piani di monitoraggio, devono essere riproducibili, affidabili e accurate.
I metodi e i controlli analitici in campo ambientale spesso risultano complessi, per diverse cause:

 

  • complessità della matrice stessa da cui derivano,
  • alto livello tecnologico della strumentazione utilizzata,
  • carenza di metodi normati a livello nazionale e internazionale.

 
 

Tali problematiche portano alla richiesta da parte dei laboratori di un supporto degli Enti preposti al fine di ottenere riferimenti precisi per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei controlli analitici, ed ottenere in
questo modo una riproducibilità dei dati ottenuti da diversi laboratori.
A titolo di esempio, per alcuni parametri presenti nel D. Lgs. 152/06 nell’allegato 5 Parte IV, Titolo V, per i quali si definisce “Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC)” per il suolo e per le acque di falda
esistono numerose incertezze interpretative ed è per questo motivo che spesso capita di ottenere risultati diversi se i campioni vengono analizzati in laboratori diversi. È questo il caso del problema interpretativo su idrocarburi totali espressi come n-esano per le acque, idrocarburi C<12 e C≥12 per i terreni ed i PCB totali.
Esistono poi, parametri o classi di parametri per cui nonostante siano vigenti metodi normati questi presentano criticità nelle fasi di campionamento, stabilizzazione, trasporto, preparativa e analisi. In questi casi, quindi, i dati ottenuti potrebbero non essere comparabili, indipendentemente dai metodi utilizzati. Ciò avviene in particolare per:

 

  • VOC
  • Metalli
  • Idrocarburi C<12 e C≥12
  • Cromo VI su terreni

    Nell’ottica di dare un contributo sempre più incisivo sulle analisi di inquinanti in matrici ambientali la Stazione Sperimentale per l’Industria Pelli (SSIP) in collaborazione con l’Università di Napoli Federico II, si propone di caratterizzare il fango derivante da impianti di depurazione di reflui conciari con particolare attenzione al Cromo, i cui sali sono ampiamente utilizzati nei processi di concia e di cui i fanghi saranno ricchi grazie all’elevata capacità di abbattimento di tale inquinante da parte degli impianti di depurazione (~99%). Lo sviluppo dell’attività di ricerca porterà, una volta caratterizzato il fango di partenza, al ‘Recupero energetico dei fanghi conciari’.

    Sulla base dei suddetti obiettivi si è arrivati ad un momento
    cruciale di incontro e scambio di idee tra i ricercatori della SSIP e dell’Università Federico II partners del progetto.
    Uno degli argomenti maggiormente dibattuti, in questa prima fase, risulta quello relativo a quale metodo di prova utilizzare per la speciazione del Cromo nei fanghi, ed in particolare per la determinazione della sua forma esavalente, che risulta particolarmente tossica per gli organismi viventi.
    I metodi applicabili ai controlli analitici in campo ambientale e non solo, sono diversi e di seguito se ne citano alcuni:

    • EPA 3060 A
    • EPA 7196 A
    • QUADERNI IRSA CNR N. 64
    • UNI EN ISO 17075

    Ci si è soffermati ad analizzare la determinazione del Cromo esavalente nel focus group formato da:Ricercatori della Stazione Sperimentale Industria Pelli: Ing. Daniela Caracciolo, dott. Francesco De Chiara;
    Ricercatori dell’Università Federico II di Napoli: prof. Fabio Montagnaro, dott. Marco Balsamo, dott.ssa Francesca Di Lauro.
    Tale determinazione risulta decisiva nell’ottica dell’utilizzo del fango come vettore energetico per processi termici, come ad esempio la gassificazione, al fine di stabilire la concentrazione del Cr(VI) a monte e a valle del processo e determinare dunque le condizioni operative per la fattibilità di quest’ultimo, prevenendo la formazione della specie Cr6+.

    È doveroso sottolineare che analisi preliminari, sia di letteratura che sperimentali, effettuate sul fango escludono la presenza di Cromo esavalente nella matrice di partenza in cui il Cromo è presente
    principalmente come Cr2O3, e che tale molecola (in cui il Cromo si trova nello stato di ossidazione +3) risulta stabile fino a temperature di 1200°C, temperatura ben al disopra delle condizioni operative del
    processo di gassificazione, che ad ogni modo opera in forte difetto di ossigeno.

     

    Daniela Caracciolo
    Dipartimento tecnologie per l’ambiente

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